Rifugi di spine, rifugi di frutti

Maggio accarezza Codera e il fondo della sua valle, lasciando alle cime la libertà di godersi gli ultimi fiocchi d’inverno; granitiche custodi di valori e tempi fragili. Tra il rumore sfrigolante delle foglie secche, il torrente sembra rinnovarsi ad ogni danza di mulinello, scappando di salto in salto dalla valle come a non voler dare nell’occhio. Con il tempo anche i vecchi montanari hanno seguito la stessa ripida discesa, chi stanco delle rigorose leggi della montagna, chi esploratore di nuovi mondi. Il Manduino ci guarda tra le serrature della Val Ladrogno, porta socchiusa che divide la Val Codera da quella dei Ratti, accogliendoci così nel suo piccolo scrigno di mondo. Sembra un occhiolino d’intesa, l’ultima neve che lassù brilla.
 
Passo dopo passo risaliamo i 3000 scalini che ci separano da Codera, “scendendo” alla scoperta dei nostri – prima tappa del progetto Relazioni in cammino. I raggi del sole bucano i ricci di castagna e piano anche noi abbassiamo le spine per farci assaporare, aprendoci all’altro nella scoperta dei nostri rifugi. A volte ricci a volte frutti. Ci scopriamo sdraiati su un prato o camminando per la valle, tra le mura di granito un tempo rifugio delle Aquile Randagie, ora tempio dei loro valori. Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino – cantiamo con Bennato non sempre lungo le stesse note. Sulla cartina della propria vita c’è chi ha disegnato il proprio rifugio vicino ad una cascata impetuosa ma attraversabile, chi tra i sassi d’una frana instabile, chi nel sicuro fondovalle o in cima al bosco. Tengo solo l’essenziale – qualcuno ha detto. Brucia ciò che t’avanza nella mia stufa – qualcun’altro ha risposto.
 
La metafora è uno scarpone comodo che facilita l’esplorazione. E mentre un’Aquila Randagia sorvola le nostre valli, sembra ora possibile accarezzare le spine dei nostri ricci.

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