Dalla banchina, il ragazzo nero osserva la ragazza bionda sedersi sul sedile, cercando di portare a riva un ultimo saluto lanciandole sguardi arpioni. Ogni lancio a vuoto è un desiderio che monta. Seduta con lo sguardo rivolto verso la direzione del treno, la ragazza ascolta una canzone o un podcast di Barbero – immagino – distraendosi da chi fuori cerca di pescarla, dal controllore che la controlla e dal treno che la porta verso Roma. Io, seduto di fronte – sguardo verso la partenza e spalle alla destinazione – non ho occhi che per la mia bici.
Hallo, hallo! – Ripete di continuo il primo barista appena fuori Termini. Hallo, all’americano che s’è fatto centomila chilometri per sentirsi a casa – Hallo, al romano che è a casa ma glie pare d’esse a New York – Hallo, a quello in bici che chiama brioches i cornetti. Hallo a te e a questa città che annaspa, ondeggiando tra passato e futuro, dentro una matrioska di mondi che contengono mondi, che contengono mondi. Tra questi universi paralleli e perpendicolari, la formazione Gordon “Giovani Efficaci” Y.E.T. aspira a formare giovani e adolescenti il cui centro gravitazionale sia la persona e le cui orbite siano le relazioni efficaci tra loro. Noi futuri formatori sperimentiamo il conflitto in prima persona, come singoli e come gruppo, camminando su quel ponte tibetano che permette l’incontro tra il versante della fiducia e quello della congruenza. Il ponte oscilla, ma ci aggrappiamo con fermezza.
La voce metallica si scusa per il ritardo perpetuo; la ragazza risponde cortese “Figurati, ci mancherebbe” – prima di mandarla affanculo. Annullato il mio treno, come ovvio, trovo ospitalità presso una famiglia dalle domande profonde, alle quali non sono pretese risposte. Confine o ponte tra amore e odio, vita e morte, domande e risposte. Cercando certezze – calzini bianchi e neri da mettere ordinatamente nei cassetti – perdiamo l’universo che tutto intorno cospira a nostro favore quando desideriamo qualcosa, diceva qualcuno. E mentre noi ripieghiamo i calzini spaiati, ci pensa una ragazza di quindici anni a liberare domande che avvicinano gli universi. Come non mi capitava da mesi, dormo profondamente su un materasso a due pezzi poggiato per terra. Se la risposta al sonno è la sveglia, io voglio solo domande.
Il cielo di Roma è una transumanza di nuvole a pecorelle; acqua a catinelle sul traffico capitolino, che si dimena come un banco di tonni impazziti tra la fitta rete di strade. Inizio così la risalita contraria lungo la Via Francigena – Roma, Cesano, Sutri, Viterbo, Siena – divorata in un sudato boccone di Gricia e Oki per un menisco che mi tiene sull’attenti. Viterbo si fa desiderare e con Roberto bevo un caffè appoggiato al muro della chiesa. A tracolla un cordino marchiato RAI3 dà il via alla conversazione – No, non ci lavoro ma ascolto la radio, la vista è quella che è ormai… Parla delle sue imprese da vecchio ciclista e s’illumina alla parola “Ghisallo”. Tra quella catena non interrotta di monti… – Sorride. Racconta del suo ritorno a casa dopo una vita per il mondo e si silenzia vagando nei ricordi. È proprio vero che l’unica catena che ti libera è quella della bici. – Dice mescolando il caffè. Regoliamo con cura la posizione delle nostre sedie perché l’incontro non sia casuale e gli sguardi altrove. Cita un film di Fellini ed io sfrutto la mia ignoranza per approfondirne la conoscenza. Da dove vieni? – Chiede. – Sutri – Rispondo. – Ah! Sai chi era il sindaco di Sutri? – Sgarbi! – E ridiamo all’unisono, concordando che conoscenza non fa rima con intelligenza. Capra! – Dice ridendo. Nella piazza di Viterbo si sta proprio bene. Senza arroganza, il sole accarezza la pelle e i faggi danzano attorno alla fontana sfrigolando con le foglie. Roberto si alza e sussurra al barista – il caffè lo offro io. – Lascia, Robbé, sono già pagati. – Ci vediamo l’anno prossimo Paolo, così mi racconti se a casa ci sei arrivato! – Certo Roberto, sono stato proprio bene qui, tra le fronde e senza giuste risposte.
Una risposta
Bellissimo racconto!