Una bimba bionda siede in ginocchio sul pavimento a ottagoni rossi. Ha i capelli raccolti da un elastico giallo e uno blu. In mano regge una rete che lega con cura alla struttura cubica di legno, coprendone il perimetro. Davanti a lei la mamma la segue, intrecciando alla rete lunghi metri di nastro verde militare. L’allarme é suonato da poco ed il rifugio operaio si anima presto di formiche determinate a salvare la Regina Patria o i padri al fronte, per ora tornati solo nelle eroiche foto appese ai muri. Nella tana sotto la chiesa di Leopoli noi ci rotoliamo appena dopo un pranzo fritto e abbondante in compagnia di L., interprete ucraina che é insieme a noi nella 45^ missione “Med Care 4 Ukraine” di Mediterranea Saving Humans.
Suona l’allarme dopo il secondo, appena prima del caffè. Ma dove vai che hai sessant’anni! – Racconta L. d’aver detto al marito due anni prima, convinto di partire volontario per il fronte – Devo andare, tu non sai cos’è la guerra… – Aveva ragione, non lo sapevo cos’era la guerra – dice.
Guerra. Ci giocavo da piccolo ed era bello. Avevamo le fionde e si correva su e giù per le rive di Porchera. Ci si rincorreva e sparava con le fionde.
Sparare. Giochiamo alla guerra – dicevamo. Giochiamo che io ti devo invadere e tu devi difendere il fortino. No, dai. Questa volta giochiamo che ti invado io. Invadere, rifugiarsi, difendersi.
Giocare. La guerra non l’abbiamo ancora vista quando tra una tazza di Chanake e un piatto di Boršč suona il quarto allarme in tre giorni. Il signore vicino all’ingresso mangia una zuppa senza alzare gli occhi dal piatto. Leopoli e i suoi cittadini non cambiano colore come le mappe rosse degli allarmi; restano grigi e con il petto in fuori, senza pianti o sorrisi di circostanza. La città tace per non mostrare i denti rotti dai droni due giorni prima. – La guerra é bella anche se fa male – canticchio tra le labbra. Era bella quando con le pistole finte sparavamo pezzi di plastica gialla per davvero. – Ti ho preso, sei morto! Non vale se ti muovi, fai finta di essere morto, dai.
Morire. C’é una croce fatta da pezzi di finestra sfondata, nella comunità di Sant Egidio. Chi ci era crocefisso é sceso per andare a Mariupol’.
Gialli e blu sono i nastri che reggono la coda della bimba nel rifugio. Con le mani bianche lega intorno a un cubo di legno una rete che la mamma ricopre con del nastro verde. Verde militare. Nasconderà uomini o armi una volta spedito al fronte, non so. Suona la fine del coprifuoco ed é tana libera tutti.
Correvamo giu dai ronchi con le fionde in mano e sudati mangiavamo la pizza alta di mia mamma. Le pareti bianche sorreggono le bandiere che indicano un confine, di terra o di cuore. La bimba ci guarda in silenzio prendere le nostre cose e risalire in superficie.
Tana libera tutti! Sei libera ora… – Le vorrei sussurrare in un orecchio. Continuo a giocare ancora un po’, almeno finché non torna papà – la sento rispondere nel rifugio della mia immaginazione.