Antivigilia

La replica del Corriere datata giugno ‘23 è appesa nella pasticceria di via Roma, non lontana dalla stazione di Cerro. La prima pagina dichiara che a Linguaglossa arrivarono il Re Vittorio Emanuele III e il Presidente del Consiglio Benito Mussolini, ma la loro presenza e vicinanza alla popolazione non sortì gli effetti desiderati. Toccó dunque al potere temporale entrare in azione, processando la statua di Sant’Egidio fino alla stazione di Cerro, sotto la colata in arrivo. Tuttavia, anche il patrono non poté nulla e restò di pietra com’era, vedendo la lava arrivare.

Alla fine furono le mine a deviare il corso della colata e salvare il paese. Gloria a Sant’Egidio, al Re e al futuro dittatore con prime pagine e feste dedicate al Santo protettore. Egidio, non Benito, per intenderci.

Io a Linguaglossa ci arrivo esaltato, stanco e sudato da fare commiserazione. Del Re, del Santo e del dittatore ho ben poco, ma mi pare d’avere tutto mentre pedalo a zig-zag tra gli infiniti vigneti di terra nera e le piantagioni di pistacchio verde. Ci arrivo dall’esatto paese opposto, disegnando una mezzaluna da nord per Bronte, prima e Randazzo, poi. La strada “Quota mille” taglia di netto la colata lavica dell’’81, stanca di fumare e immobile nella sua naturale devastazione.

La testa tiene il passo e il ginocchio si lamenta sottovoce, ormai rassegnato a questo pedalare su per una strada da cavatappi di bottiglia che prego non esploda. È ottobre ma nessuno sembra saperlo, certo non la trapunta di castagni che copre i piedi del vulcano o l’affittacamere di Piedimonte, felice di queste giornate – Ottime per l’ultimo bagno!

Per il vulcano, poco cambia.

Nel biliardo della giornata, il sole rotola piano dentro la buca del cratere nord, ribollendo nella pancia della montagna che, in silenzio, lo silenzia. Si fermano le macchine e si tacciono i cani che per tutta la Sicilia mi hanno rincorso. Ad Adrano il venditore ambulante ha smesso di strillare, spegnendo il megafono dell’Ape. È accennato solo per salutare il continuo clacsonare di Palermo e sotto i baffi dei meccanici di Enna le bestemmie sono edulcorate quel che basta per serrare l’ultimo dado.

Il cratere sud è la pipa del nonno che non ha mai smesso di fumare, montagna di rughe di lava. Sono nipoti i piccoli crateri sparsi per il dolce piano verso Randazzo. Seduti sulle calde gambe del nonno, agitano spesso la terra in attesa dei suoi racconti: di quando tutt’intorno era incandescente senza colpe e la culla della civiltà oscillava con venerazione; di quando la neve cadeva copiosa come uno scialle fresco per le spalle bollenti.

Il fumo bianco di pipa si sparge come spiaggia sul mare nero di stelle, rubando due raggi rosa dal sole senza più forze e soffiando di nuovo fuliggine bianca da colorare.

Il mio scranno è una sedia in plastica Sammontana e da lì applaudo immobile gli attori in scena. Il sole si spegne e ora il fumo da sud si colora d’argento: carta stagnola che avvolge la giornata da conservare nella notte di gelo.

Chiudo la zip della tenda e quella dei miei occhi. Domani si sale ed io sono un bimbo l’antivigilia di Natale.

4 Responses

  1. Bellissimo scritto . L’uso costante di metafore rende la lettura impegnativa ma l’immaginazione ringrazia e trasporta proprio lì dove sei tu.
    È sempre un piacere leggerti.
    Paola, zia di Bea e tua lettrice da tempi memori . Buon rientro o forse già rientrato

    1. Ogni tanto mi impantano delle metafore con periodi da serie TV, ma é il bello di sentirsi liberi di scrivere ciò che si sente senza alte pretese. Mi fa un piacere enorme sapere che in qualche modo hai vissuto tramite la lettura una parte della mia esperienza, una condivisione che mi stimola molto a continuare! 🙂 grazie davvero

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