Tempo

É stato un fulmine di metà maggio ad aprire la Val Lemme come un’ostrica e nasconderci una perla di nome Voltaggio. Voltaggio di giù e di su, basso e alto voltaggio a seconda del livello di carica che serve. Io dormirò nella frazione di Altissimo Voltaggio. É forte la corrente del torrente che accende il paese e muove le bindelle di Guido – Dunque sei qui per quale motivo, oltre ad esserti perso? – Chiede mentre carteggia un’imposta dalle mani abbondanti. – Sono di passaggio per Genova… – Una volta ho parlato con un tedesco di passaggio per Genova! Non ci siamo capito molto… – Anche la moglie va di gomito e benedice le nuove imposte d’alluminio. – Ecco, ci sarà un motivo se la falegnameria ha chiuso! – dice Guido. – Si, l’età! – Risponde la moglie più giovane.

Il tempo apre e chiude le imposte dei giorni; lo sanno Guido e la moglie che sono rimasti affacciati per cinquant’anni dalle spalancate verdi imposte, gustando la vista dei dolci Appennini liguri. Ora tocca smontarle e carteggiarle un poco, riverniciarle e magari cambiarle per poi riaffacciarsi e scoprire a bocca aperta che il paesaggio, in fondo, resta meraviglioso.

Le colline verso il mare sono le dolci gobbe di un cammello coperto di ricci e foglie. Briglie alla mano risalgo senza fretta il Passo della Castagnola e giù per Busalla, quindi su per la seconda gobba lungo il Passo dei Giovi e giù attraverso una Via Lattea di paesini nella costellazione di Genova, dove l’arabo e il ligure danno vita ad una soluzione all’apparenza insolubile. Acqua e olio forzatamente nella stessa violenta bacinella, teatro della battaglia navale di Bolzaneto: G-8, colpiti e affondati.

«[…] Tocca smontarle e carteggiarle un poco, riverniciarle e magari cambiarle per poi riaffacciarsi e scoprire a bocca aperta che il paesaggio, in fondo, resta meraviglioso»

Ai genovesi hanno raccontato del mare. Glie l’hanno raccontato con canzoni e storie da ponente a levante. Glie l’ha raccontato chi è partito sbagliando strada e tornando con le Americhe in tasca. Hanno perfino rinchiuso un pezzo di mare in una boccia di vetro da dove guardare tutti i suoi abitanti. A pagamento, s’intende.

Ma il mare, quello vero, i genovesi non sanno cosa sia. Hanno case così vicine da non poter aprire le imposte per vederlo, così le disegnano sulle facciate e s’immaginano di spalancarle e di guardare le onde – o per le meno quello che gli han detto essere. Le gru al porto sono alte quanto é profondo il mediterraneo e i suoi fondali sono disegnati nei bar: i genovesi li guardano con gli occhi da Meraviglia della Carpa, prima di rituffarsi nel marasma della città e annaspare tra le onde di palazzi. Tra banchi di turisti che attraversano col rosso e alghe di strade intrecciate che portano su chissà quale atollo, Genova é un’Atlantide emersa a sua insaputa. Forse i genovesi non sanno del mare, ma certo il mare sa dei genovesi e forse poco cambia.

Fuori piove e i palazzi sembrano avvicinarsi tra loro per coprirsi meglio. Io sono stanco e mi trascino grigio verso il porto. Dove ti porto? – Chiede una nave dei Looney Tunes, perché ci dev’essere sempre e comunque qualcosa su cui ridere. – Corsica. – Andata e ritorno? – Facciamo solo andata, metti che mi trovo bene… – Beh, meglio di cosi ci vuol poco mi pare di capire. Lo sai cos’è il mare o ti serve aprire un’imposta?

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