Diario dal carcere • Sapore di cura

Ridiamo di gusto ed il sapore è quello forte del formaggio siciliano, come i chili che la madre di A. si ostina a spedirgli. Alla fine ho dovuto chiedere a mia sorella di nascondere i pacchi per non darle dispiacere, ho la cella che sta esplodendo. Potrei aprire un alimentari… – Ridiamo forte come il sapore di pecorino ed assaporiamo piano il delicato tema della cura. Dentro e fuori dalla cella, dentro e fuori noi stessi. È cura quello che A. suggerisce quasi sottovoce al proprio concellino – Perché io sono dentro da parecchio e l’ho capito a mie spese. – È cura verso di sé ciò che G. si dona, prodigandosi in ogni corso che il carcere propone, dalla gestione delle caselle Excel a quella meno razionale delle emozioni.

Il gruppo è nel pieno del suo processo. Incrocio gli occhi indulgenti di chi ascolta in silenzio, facendosi carico delle parole di chi invece è un fiume in piena. Un fiume senza argini né mare da raggiungere per disperdersi e trovare pace. A. é sulla ventina e davanti a lui ha diversi anni da scontare. Da quanto sei dentro? Gli chiedono. – Da una settimana. Di fronte a lui G. ha già vent’anni di reclusione sulle spalle e ventotto differenti carceri sotto i piedi. Li dividono pochi centimetri, li unisce il qui ed ora, unico momento condivisibile. La cura accarezza i bisogni attraverso la relazione autentica, senza sollevare la persona dalla responsabilità dettata dalle azioni.

«Il gruppo è nel pieno del suo processo. Incrocio gli occhi indulgenti di chi ascolta in silenzio, facendosi carico delle parole di chi invece è un fiume in piena. Un fiume senza argini né mare da raggiungere per disperdersi e trovare pace»

I pacchi per A. non finiscono, con il formaggio arrivano decine e decine di mollette per stendere i panni – L’ho detto a mia madre che non ho il balcone… – Una risata seppellisce discorsi su articoli vari, permessi e uscite anticipate. Abbiamo correnti di emozioni da riconoscere e attraversare per prenderne coscienza e cambiare direzione. La razionalità appare come un salvagente che ci salva dai turbamenti senza lasciarci affondare tra le correnti emozionali ma è proprio lì che la facilitazione ci porta, senza passare per la giustificazione dell’atto ma per la comprensione e l’accettazione senza condizioni. É la chiave di lettura rogersiana dell’esistenza, è la chiave che ci permette di aprire le celle dei detenuti e far evadere i loro turbamenti, con l’intento di imparare a nuotare in profondità.

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