Diario dal carcere • Oasi d’umanità

Ci sono una piccola croce affissa al contrario e tre piccole lacrime nere tra i tatuaggi sul viso di G., che chiede a bassa voce se il suo nome compare tra i partecipanti del giorno. Fuori è una bella giornata e lungo i muri del carcere risplendono disegni di alberi e prati in fiore; l’estate arriva anche qui ma lascia fuori i suoi profumi. Gli occhi di G. fanno da diga fragile ad un lago di lacrime pronte a esondare, le pupille tremano deviando lontano lo sguardo e la voce vibra mentre un raggio di sole trafigge le sbarre, illuminando la cappella del carcere dove il gruppo attende il via. Dopo oltre un anno di assenza torniamo nel settimo braccio della casa di reclusione di Bollate con l’attività che forse più di tutte esprime l’essenza dell’Approccio Centrato sulla Persona: il Gruppo d’Incontro.

«È difficile stare nell’accoglienza del non giudizio ma è lui la fonte d’acqua di quest’unica oasi da preservare»

A. è in carcere da oltre vent’anni e racconta in modo lucido e amareggiato delle ombre che da allora lo perseguitano. Ha in mano un foglio bianco su cui riscrivere la sua vita fuori di qui e vuole farlo riempiendolo del tempo perso con sua figlia. Ho anche uno zaino pesante da portare in spalla – dice senza giudicare il suo passato ma prendendone semplicemente atto. Il Gruppo d’Incontro è un’oasi di umanità in un deserto di attese, giudizi e rimpianti. Più volte G. in questo deserto ha provato a farla finita, più volte ne è uscito per poi rientrarci. Ne parla a bassa voce e con la gola strozzata; la diga cede e alcune lacrime esondano, accarezzando quelle tatuate senza diluirle. Non vedo i miei figli da otto anni – sussurra con un sorriso amaro che accolgo senza chiedermi da dove fiorisca. È difficile stare nell’accoglienza del non giudizio ma è lui la fonte d’acqua di quest’unica oasi da preservare. Il solo ricordo del sorriso di sua figlia scioglie tutte le resistenze di A., che racconta dell’incontro come se gli fosse stata donata l’opportunità di rinascere di nuovo padre. É la magia morbida di un abbraccio profumato, che lo commuove e gli infonde la spinta di resistere alle tentazioni apatiche della reclusione. Ho l’obiettivo di uscire e riconciliarmi col passato ma la libertà che tra poco mi aspetta fa paura. Credo di non saperla ancora gestire… – dice. G. Lo accoglie con lo sguardo compassionevole di chi tra le frecce all’arco decide di non scoccare quelle pungenti del giudizio. Qui ed ora, tra le quattro mura del carcere, nell’intimità sicura del Gruppo d’incontro.

 

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